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Luigi
Capitano
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La montagna feroce: il Golico.

Forse già  conosciuto, un poco lungo, ma io lo trovo straordinario e commovente, in questo mondo di grandi fratelli e quaquaraquà .
Scritto da Mario Padovini e tratto da “1923-1998: tre quarti di secolo degli alpini dell'ANA in Carnia”.
Mandi.
Luigi


Golico: il Golgota degli alpini della “Julia”

- Dite alpini del Tolmezzo
dite, alpini, che sul Golico
attaccati ad una roccia
come Cristo alla sua croce
non faceste udire voce,
non moveste alcun lamento,
che viveste nel tormento
di quei giorni disperati,
dite, alpini della “Julia”:
siete uomini o dei santi?
Dite, alpini, dite quanti
eravate nell'andare?

- Più di mille, e son restati
settecento sulla roccia.
Settecento son caduti;
settecento han trovato
il lor Golgota sul monte.
Settecento palle in fronte,
settecento croci pronte,
settecento fosse chiuse.

- E non basta?… Cosa fate,
fermi ancora al vostro posto?
Cosa fate? Chi aspettate
con piè fermo e viso duro?

- Non sappiamo: la consegna
è una sola: “Fare il muro!”
Settecento son restati
qui, con noi, pietrificati;
qui, più duri del granito;
sono qui con noi, nel mito,
sono qui nella tormenta
sono qui con noi nel gelo;
son fedeli alla consegna
qui con noi: “Nessuno passa!”

- Dite, alpini, ma da quando
siete fissi a questa roccia?
Non vedete che già  sboccia
giù alla valle primavera?
Non sentite, nella sera,
le campane della Pasqua?

- Pasqua?… Sera?… Primavera…
Tutto questo ancora esiste?
Chi lo dice?… chi le ha viste?
Sono già  cinquanta giorni,
sono già  cinquanta notti
che siam roccia nella roccia…
Cosa dite?… Cosa sboccia?

- Cibo caldo?… Ma non basta
per mangiare un po' di pane,
mezza scatola di latta,
qualche pugno, qui, di neve?
Ce n'è tanta, la vedete?
Ce n'è tanta… e così bianca!
- Sì la vedo, è tanta, e bianca
ma la vostra voce è stanca
ma la vostra mano trema.
Non vorreste, dite, un poco
riscaldarvi accanto al fuoco?

- Riscaldarci?… Ma qui si arde,
ma qui brucia tutto il monte!
Fuoco?… Un poco!… Ma guardate:
qui la roccia è incandescente!
E' un bruciare continuamente
Vite umane, armi, riserve,
tutto è ardore, tutto è rogo,
tutto è fuoco, tutto è fiamma.
Uno spirito c'infiamma,
ci trasforma, ci consuma…

- Ecco qui la nuova luna.
Quante sono?… Cinquant'una.
Ecco l'ordine, vedete?
Questa sera scenderete
giù nella valle. Non gioite?
Si ritorna, mi capite?
Si ritorna, si discende
dal calvario incandescente…

- Muovon lente, nel chiarore
l'ombre dei sopravvissuti:
sono incerti, ebbri, sparuti.
Si ritorna?… ma i caduti?
Quei che più non torneranno?
Qui, nel buio, qui, nel gelo,
qui, nel fango, che faranno?

- I caduti resteranno
qui a presidio della roccia.
Sono morti, ma vivranno
qui, sul Golico, per sempre.
Resteranno eterni, soli,
e non vogliono consoli,
non vi chiedono compagni.
Sono soli, ma son tanti!
Sono muti, ma nel cuore
hanno ancora tanti canti,
hanno ancora tanto sole,
hanno ancora tanto amore!

Muovono lente, nel chiarore
della luna l'ombre vive.
Silenziose, curve, schive,
si dispongono nel rango:
vanno avanti barcollando,
e carezzano, passando,
i compagni morti in croce.
Lente scendono dal monte,
vanno lente nella notte.

Alla svolta, ad una ad una,
si sommergono nel buio.
Sta la luna, chiara, in alto:
tutto il monte ne risplende.
Sta la luna immota, e accende
settecento fiamme chiare.
Giù, nel fango, altri trecento
la contemplano brillare…

Nella gola fischia il vento:
passa e dice: “Li vedete?
Eran mille e son trecento.
Son trecento, ma chi sono?
Sono uomini o son larve?
Fango, bende, lunghe barbe,
occhi e volti trasognati.
Sono sani o son malati?
Sono demoni o son santi?
Vanno muti, vanno avanti,
su quei piedi doloranti…
La consegna è camminare;
la consegna è andare, andare…

- Dimmi, alpino, ma cos'hai
che procedi spasimando?
Dimmi, alpino, come fai,
con quei piedi martoriati,
senza soste, senza cure,
senza un poco di calore,
senza un poco di riposo
ad andare, a camminare?
Fa vedere… ma non sai
che hai le dita congelate?
Non le senti le tue piaghe?
Non lo sai che è cosa grave?

Come?… E' grave?… Non sapevo.
E' da tanto che l'avevo.
Sì, fa male a camminare,
sì, ma posso ancora andare,
posso ancora ritornare
lì, sul monte, dai compagni.
Settecento, son restati
lì, sul Golico, impietrati
settecento son caduti
lì, con noi, sereni, muti.
I miei piedi?… fanno male,
sì, ma posso ancora andare.

Capitano, fa' tornare
i tuoi alpini sulla roccia.
Vedi? Brilla. Vedi?… Sboccia
in un fior l'alba lunare.
Facci ancora ritornare
lì, sul monte, capitano.
Siamo forti, vedi?… Andiamo
dove vuoi, se ci conduci.
Là  ci sono tante luci,
qui c'è freddo, fango, noia…
Dacci ancora questa gioia..

Facci ancora ritornare
lì, sul monte, a riposare
muti, accanto ai nostri morti
Giungeremo: siamo forti!
E staremo, immoti, assorti,
con le aperte braccia in croce
nella chiara eterna luce.

Marcia il capitano e tace:
la consegna è di marciare.
Non si può più ritornare…
Marcia avanti ai suoi trecento:
vanno muti, vanno a stento,
mentre sopra fischia il vento,
mentre sotto è tanto fango,
mentre ognuno è così stanco…
Ma non si piegano, non stanno:
non si reggono, ma vanno,
e non chiedono, non sanno,
e non fanno udire voce
e non muovono lamento.

Eran mille e son trecento
eran sani e son malati
eran uomini e son larve;
eran martiri e son santi.
Vanno muti, vanno avanti…
Sono alpini della “Julia”,
sono alpini del Tolmezzo,
sono alpini che sul Golico
attaccati ad una roccia
come Cristo alla sua croce
obbedirono ad una voce,
ad una sola “Non si passa”.
"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
(G. Bedeschi)


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