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buon compleanno

Un interessate articolo sul nostro cappello che in questo giorni compie 100 anni vita:
“E' adottato per la truppa dei reggimenti alpini un cappello di feltro grigioverde che completa la nuova uniforme da campagna stabilita per dette truppe. Detto cappello consta: di un feltro, di una fodera, di una fascia di alluda, di 4 occhielli,di una soprafascia, di un cordoncino, di un porta nappina e degli accessori i quali sono per gli alpini: la nappina, la penna ed il fregio e per l'artiglieria da montagna: la coccarda, la penna ed il fregio. (…)”Così inizia l'Atto n.196 del 20 maggio 1910, pubblicato sul Giornale Militare a firma del Ministro Spingardi, che sancisce il cappello in feltro, ma solo per i sottufficiali, i graduati e la truppa dei reggimenti
alpini e dell'artiglieria da montagna.Questa disposizione - che commenteremo più avanti nella sua completezza - è frutto di varie trasformazioni ed esperienze che il Corpo degli Alpini ebbe fin dal 1872.Il cappello alpino non è un mero oggetto avente una semplice funzione d'abbigliamento o corredo perl'uniforme, ma è anche un simbolo significativo per la nostra storia nazionale come lo erano già  alcune tipologie di cappelli e berretti dell'Italia risorgimentale. Nel Cappello Alpino c'è anche un po' del loro, se è vero che la Bombetta
degli Alpini del 1873 è chiamata pure Cappello alla Calabrese o all'Ernani, in onore dell'opera celebrata da Verdi fin dal 1844 (1). I cappelli sopranominati avevano creato una moda
“sovversiva” che venne bandita addirittura da un decreto del 15 febbraio 1848 a firma del barone Torresani Lanzenfeld, allora direttore generale della Polizia a Milano.
Nonostante ciò, i cittadini milanesi si beffeggiarono del decreto e modificarono i cappelli “patriottici”; così, giusto per imitare la penna - simbolo di libertà  e rimasta sul cappello
alpino - sollevarono lateralmente la tesa del proprio copricapo. Allo scoppio delle Cinque Giornate di Milano, i cappelli sanzionati dal I.R. Decreto ricomparvero numerosissimi
sulla testa di tutti, uomini e donne, abbelliti da vistose coccarde tricolori ed ampi piumaggi, diventando popolarissimi. Fra i cappelli più popolari del risorgimento, infine, non
possiamo dimenticare quello dei Bersaglieri con le sue piume al vento ideato dallo stesso La Marmora. Venendo al periodo della fondazione degli Alpini, nel 1872
il Ministro Magnani Ricotti diede impulso a nuove riforme per l'Esercito, interessandosi particolarmente alla nuova
uniforme. Pertanto, secondo i principi della riforma Ricotti, le vecchie uniformi dal taglio francese si dovevano sopprimere e le nuove divise dovevano essere comode ed eleganti, avvicinandosi per quanto possibile a quella del borghese cittadino. Per quanto riguarda i berretti della fanteria, famoso divenne il chepì a due visiere sul tipo di quello dei Cacciatori Sassoni, scherzosamente ricordato come Pentolino Ricotti Le divise dei Volontari di Parma del 1859 disegnate dal noto illustratore Quinto Cenni. Da notare il copricapo molto simile a quello che diverrà  il primo cappello degli Alpini.I criteri uniformologici del Ricotti diedero terreno fertile per la formulazione dell'atto n. 69 del 24 marzo 1873 che stabilisce le caratteristiche del cappello alpino rigido incatramato noto a tutti noi come “Bombetta” che però - sorprendentemente - non corrisposero alle aspettative
del fondatore Perrucchetti che avrebbe voluto per gli alpini l'uniforme simile a quella dei Cacciatori Tirolesi, ritenuta la più adatta alla bisogna. La bombetta non subì nemmeno
l'influenza di altre due riforme uniformologiche dovute al Ministro Luigi Mezzacapo (2) nel 1876 e del Ministro Mazè de la Roche (3) nel 1879. Anzi, la Bombetta fu adottata - almeno stando ad una tavola del Codice Cenni - anche dal Tiro a Segno Nazionale, fondato nel 1878, dalla Guardia di Finanza operante in montagna (4) e da alcune Guide Alpine, segno che divenne veramente molto popolare, nonostante la poca praticità .Per vedere un significativo cambiamento del copricapo alpino si deve, dunque, aspettare
l'esperimento iniziato nel 1906 per la divisa del Plotone Grigio ad iniziativa privata del noto sig. Brioschi. Tuttavia si deve precisare che la preparazione dell'esperimento fu eseguito da un team di personalità . Fra queste preme evidenziare il Tenente Alberto Bianchi, dottore in chimica che creò il giusto melange del panno e colorò le pelli; il cav. Rosti, sarto, che diede il taglio pratico ed estetico alla divisa. Il Brioschi portò dagli USA il poncho e il cappello molle (che però ridusse un po' nella tesa). L'uniforme del Plotone Grigio, tuttavia, non fu di un solo modello: infatti dal 1906 al 1907 ben tre Compagnie di alpini del Battaglione Morbegno vennero sottoposte ad esperimento, con copricapo, zaini e uffetterie una diversa dalle altre.Vi furono numerose opinioni di militari - anche famosi - a riguardo del copricapo; alla fine si crearono “due partiti contrapposti”: uno pro cappello floscio l'altro pro berretto; di comune, risultarono poco gradite le penne, i fregi, le nappine e tutto ciò che non era mimetico e poco pratico.Così nuovamente il Tenente Generale Giuseppe Perrucchetti, da Torino sentenziò il 23.06.1907 sul Cappello “… Sarei solo in dubbio per dare la preferenza al cappello piuttosto che ad un berretto munito di alette da applicarsi a guisa di soggolo. Fra la tormenta, le bufere, il nevischio io ho trovato un gran beneficio, soprattutto nella cattiva stagione a far uso di un tale berretto, mentre è facile con una copertina di tela, foggiata a coprinuca, di ripararsi anche dal sole, senza avere bisogno di due oggetti, cappello e berretto per copricapo” facendoci capire che per onore di praticità ,sarebbe stato meglio utilizzare solo un berretto floscio senza “orpelli” vari. Certo che tali osservazioni dette proprio dal fondatore delle Truppe Alpine sono - per gli Alpini d'oggi - affermazioni shoccanti! Più sentimentale, ma che vide giusto, fu il Capitano Vincenzo Conforti, V° Alpini, Morbegno che affermò il 13.06.1907 “Che il cappello sia molle non solo, ma provvisto di larghe falde le quali permettono di riparare la testa dal sole e dalla pioggia. Che il cappello stesso sia provvisto di penna (mi duole di non essere d'accordo in questo Consegna del copricapo alla recluta, 1901. Quinto Cenni ancora una volta, con abile mano, ci ha tramandato questo rituale gesto che ancora oggi continua ...
col buono e simpaticissimo Brioschi). La penna - a parer mio - rende il cappello poeticamente più bello e soprattutto essa è desiderata dai nostri montanari, come
lo prova il fatto che tutti indistintamente i nostri alpini, appena possono, si provvedono a loro spese di enormi penne, sia per andare a passeggio che per recarsi al
proprio paese in permesso”.Con oculata analisi il Capitano Rosati, Agordo, così si espresse l'1.06.1907 “Il cappello nuovo non metto in dubbio che sia estremamente più pratico di quello in uso, ma io penso che noi alpini dobbiamo battere l'alta montagna, dove, a mio modesto parere, un solo copricapo è pratico, cioè un berrettone che si possa
calare negli orecchi quando soffia il vento,infuria la tormenta o il freddo è intenso. Attualmente, per tali circostanze,la nostra truppa è provvista di un cappuccio di lana, indossato il quale si lega al capo col sottogola il cappello. Taluno per il cappuccio ha quindi simpatie, poiché dice serva bene ai soldati quando dormono sotto la tenda. Tutto ciò non
nego, ma io penso che il nostro soldato -specie l'Alpino - deve essere arredato nel modo il più semplice e perciò, quando è possibile ottenere ciò che ci si propone con un solo oggetto, meglio sia attenersi a questo modo per amore di semplicità  ed altresì per diminuire il peso ed i fastidi. Pesa poco il cappuccio, lo so, ma molte piccole cose formano un totale considerevole. Se a questo si avesse sempre posto mente, il nostro soldato non sarebbe caricato e bardato come un mulo”.Infine, con altrettante osservazionia favore del cappello, il Tenente E. Bassignano, V° Alpini, Anfo osservò il 29.05.1907: “Per conto mio desidererei che per noi ufficiali si avesse un copricapo unico, cioè il cappello. L'attuale berretto, se non pesa di più del cappello grigio non è certamente più leggero e per di più, a differenza del cappello, non ripara né il sole, né l'acqua, quindi forma solo un indumento di più da portare.Al cappello toglierei la penna, poiché anche lasciata corta sotto la tenda si rompe facilmente; nel passare tra i boschi si perde, si rompe, si riga, non sta mai a posto. Lascerei però la fascia esterna alta come quella dell'attuale cappello poiché questa fascia serve assai bene a coprire alquanto le macchie di sudore che presto si formano. Toglierei il sottogola che è perfettamente inutile in un cappello floscio che si adatta bene alla testa, mentre è molto noioso a portarsi.Sul cappello non metterei nessun trofeo, ma solo il numero del reggimento, se si vuole in panno verde; oppure - meglio -sottoforma di piccola spilla in alluminio attaccata alla fascia.Alle varie forme di berretto date in prova al Plotone Grigio, sostituirei un berretto tondo, come quello del Kaiser, ma senza tesa: questo berretto tondo portato nel sacco uso tirolese non si sformerebbe, non si guasterebbe nei servizi di fatica,costerebbe poco, sarebbe di gran lunga durata e potrebbe - all'occorrenza, rovesciandone le falde - essere portato in sostituzione
dell'attuale cappuccio di lana”.Finiti gli esperimenti sulla divisa grigia e approvato il colore grigio verde, colore che più si adattava al colore del “terreno” italiano dalla Sicilia alle Alpi, il 20 maggio 1910, come riportato all'inizio di questo scritto, “nasce” il cappello alpino in feltro grigio verde. Descrizione del cappello Il cappello è di feltro di pelo di coniglio di color grigio verde ed è formato di una coppa con calotta ovale e di una tesa rialzata posteriormente e degradante verso la parte anteriore ove risulta pressoché orizzontale. La tesa ripiegata su se stessa verso l'interno costituisce l'orlo del cappello e la ripiegatura è mantenuta da due cuciture a macchina parallele e distanti la prima mm.2 a 4 e la seconda mm.3 a 10 dall'orlo, (…).L'altezza della coppa è proporzionata alla taglia.Così come è descritto nella circolare, il feltro doveva essere di pelo di coniglio (il lapin, d'allevamento, o il garenne, selvatico),ma vedremo che invece non fu sempre così: la produzione in tempo bellico ricorse al feltro in lana merinos. Per cui possiamo descrivere:
a) lavorazione del feltro in pelo di coniglio:Il pelo di coniglio proveniva da allevamenti soprattutto francesi ed inglesi, selezionato in base alla qualità  del pelo e inviato ai cappellifici. I Cappellifici che ricevevano le pelli dovevano iniziare la lavorazione con la spuntatura, cioè il taglio delle cime dei peli più grossi, mettendoli a pari. La pelle così preparata viene rasata e il pelo separato dalla pelle. Questa viene inviata alle concerie, mentre il pelo, a seconda della qualità  viene preparato per il secretage. Infatti, il pelo di coniglio, se trattato in modo particolare e ripetutamente pressato, tende ad “agganciarsi”l'uno all'altro, creando quindi un infeltrimento. Per feltrare velocemente
ha bisogno dell'aggiunta di sostanze acide, mercurio e acido nitrico (operazione detta appunto secretage poiché originariamente la formula era tenuta segreta
dai maestri preparatori, poi detta mordenzatura). Proprio per l'aggiunta di sostanze chimiche,l'operazione era pure pericolosa. Il più grave pericolo era l'avvelenamento che provocava la malattia professionale dell'eretismo mercuriale: i sintomi erano l'alterazioni del comportamento e della personalità ,la perdita del sonno e della memoria e - in molti casi - l'irritabilità . Non a caso si parla del “Cappellaio Matto” in Alice nel Paese delle Meraviglie!La diversa qualità  di peli dà  l'opportunità  di preparare mischiature secondo il tipo di cappello da produrre.Si prepara così la mischia pesata e selezionata dal maestro sufficiente per 2 o 3 cappelli, ricavata da una decina di pelli di coniglio.Dopo alcune operazioni, si arriva all'imbastisaggio: il pelo soffiato passa in una macchina imbastitrice che spruzza il pelo su un cono intelato che gira a fortissima velocità , creando così un velo di un certo
spessore. Una volta ottenuto questo velo a forma conica, si passa all'operazione chiave della follatura.La prima informatura del feltro eseguita a mano effettuata presso il cappellificio Cervo alcuni decenni or sono.(arch. L'Alpino)E' in pratica una percussione violenta e ripetuta delle imbastiture che venivano assodate in caldaie d'acqua bollente con acido solforico; il risultato era che le fibre si gonfiavano, diventando vischiose e compatte. In questo modo la pezza può già  subire una prima informatura per compattarla e avere una forma, tirando verso il bordo per iniziare a sagomare l'ala. Le pezze erano presi uno ad uno dal cappellaio,posti su una apposita forma di legno che, in modo grezzo, già  dava un'altra informatura.b) lavorazione del feltro di lana merinos:
Quantunque la disposizione ministeriale parla di pelo di coniglio, durante la I^ Guerra alcune ditte addette alla produzione del feltro, dovettero ripiegare sulla lana; ciò fu dovuto essenzialmente a causa del blocco delle importazioni e dell'aumento dei costi della materia prima. Inoltre,al contrario di quanto si potrebbe credere, il mercato del cappello subì una impressionante crisi, dovuta all'impossibilità  di esportare il cappello civile negli Stati esteri. Le commesse militari furono irrisorie rispetto alla produzione dei cappelli civili in tempo di pace e la guerra fece dunque strage di aziende/laboratori produttori di cappelli. Monza fu il centro maggiore di produzione del feltro in lana merinos ed è proprio qui che troviamo la produzione dei cappelli alpini in lana e non in pelo, diversamente da Intra e Ghiffa.La lana deve subire alcune preparazioni più complesse di quelle per il pelo per arrivare alla follatura che è l'operazione fondamentale per infeltrire la lana. Il prodotto che ne deriva è il follone, in pratica un cono di feltro pronto per essere lavorato nella forma, ma non più nella sostanza. A questo punto le operazioni sono in generale identiche per entrambi i feltri in pelo ed in lana.Le pezze venivano sbordate a forbice e rasate; poi
pomiciate a pietra o con carta vetrata per toglierne la ruvidezza.Con l'informatura, il cappello incominciava a prendere la forma voluta: veniva riscaldato, modellato su
altre forme in legno con le dovute misure di circonferenza, d'altezza e con appositi ferri caldi.Questa forma era solitamente composta in due parti: una per la creazione della coppa, l'altra - detto cerchio - per la tesa. Ogni azienda aveva una propria falegnameria che produceva delle vere e proprie sculture in legno per creare i modelli. In particolare doveva essere eseguita al tornio la coppa con la giusta curvatura. Ed è proprio la forma della coppa e del cerchio a essere fondamentale: pare che per la coppa venisse usata quella della bombetta degli Alpini mod. 1873, dando alla cupola del cappello quella particolare rotondità  tipica delle prime produzioni. Già  una piccola variazione della coppa (una
curvatura più o meno accentuata, un'altezza più o meno differente) determinava già  la forma finale del cappello. La curvatura della coppa, per gli esperti, contraddistingue un cappello alpino del periodo della Grande Guerra, degli anni ‘20/'30 e della II^ Guerra Mondiale (oltre la qualità  che è andata via via sempre peggiorando!). Infatti la cupola dei cappelli della II^ Guerra Mondiale è molto più alta e squadrata,mentre il colore del feltro non è più grigioverde, ma grigio azzurro per poi tendere al verdone per quelli prodotti nel periodo post bellico.Il cerchio doveva essere delle dimensioni stabilite dall'atto ministeriale: la lunghezza della tesa quasi costante per tutte le taglie, è di mm 80 circa nella parte anteriore e posteriore ed è giustamente proporzionata ai lati. L'altezza La coppa utilizzata per informare la cupola del cappello alpino mod. 1910: una vera e propria scultura in legno. La stessa forma serve per la cupola delle bombette ottocentesche.(arch. Cappellificio Melegari, Milano).della coppa è proporzionata alla taglia. Il cerchio doveva essere eseguito in modo tale che si incastrasse perfettamente intorno alla coppa e riportava un intaglio alla giusta altezza per creare la ripiegatura del bordo della tesa, presente nel cappello alpino. Per questa operazione esisteva un apparecchio apposito che aveva delle rotelle con lama e il feltro, nella sua forma di legno, veniva tagliato di netto e sbardato.
Un'altra macchina prendeva e piegava l'orlo cucendolo con due cuciture a macchina parallele e distanti la prima mm.2 a 4 e la seconda mm.3 a 10 dall'orlo Infine, un cappellaio particolarmente esperto, dava la forma definitiva al copricapo con apposite presse a vapore. La circolare ministeriale prosegue poi: in ciascun fianco della coppa sono praticati all'altezza di 75 a 80 mm dalla base, due fori muniti di occhiello di metallo verniciato (5) e distanti tra loro mm.42 a 48.Inoltre il cappello è fornito da una soprafascia e di un porta nappina di cuoietto al cromo di color grigio verde e dello spessore di mm.1. La soprafascia è larga centimetri 2; il porta nappina è applicato sul lato sinistro del cappello, il quale
è inoltre guarnito di un cordoncino di lana color grigio verde del diametro di mm.8 cucito a rosetta sulla parte inferiore del porta nappina e girante tutto intorno alla sopraffascia.
Internamente il cappello è provvisto di una fodera di tela cotone rasato nera e di una fascia di alluda alta mm.45 cucita inferiormente all'orlo della coppa e superiormente alla fodera. I cappelli, a seconda dello sviluppo interno misurato sulla fascia di alluda, sono di otto diverse dimensioni o taglie e cioè: centimetri 60, 59, 58, 57, 56, 55, 54, 53.
I lavori di guarnizione erano eseguiti per lo più a mano da donne e ragazze: dal lavoro manuale era esclusa - ad esempio - la cucitura della fascia di alluda all'interno della cupola che poté farsi solo nel primo ‘900 quando la ditta Carl Lehman di Berlino pose sul mercato una macchina capace di fare questa operazione per trenta/cinquanta dozzine di cappelli al giorno. Poiché la parte anteriore della tesa è trapuntata con cuciture a macchina pressoché concentriche alla base della coppa e distanti tra loro mm. 5 a 6, l'operazione veniva eseguita dalla macchina cucitrice, manovrando il cappello Rendering che illustra un cappello alpino posto sulla sua forma in legno per la formatura della coppa. E' proprio
questa curvatura che identifica un cappello delle prime produzione rispetto a quelle degli anni ‘20 , ‘30 e ‘40.su una bascula. Data la distanza e l'ampiezza della parte anteriore
della tesa, risultavano nove/ dieci trapuntature a forma di mezzaluna (6).Al termine di tutto ciò il cappello alpino, dopo un'ultima informata, poteva venire controllato
da un personale preposto che segnava il prodotto con il timbro di conformità  al capitolato militare.Concludiamo l'analisi delle fonti tratte dal Giornale Militare
con l'atto 388 - Varianti alla divisa degli ufficiali del R. esercito, 5 settembre 1910, §9, relativo all'Ufficiale degli alpini e dell'artiglieria da montagna: si stabiliscono le caratteristiche del Cappello Alpino per l'Ufficiale: in pratica un cappello alpino da truppa abbellito da una soprafascia di nastro presente anche sulla tesa.
Il feltro, il colore, la forma sono quelli prescritti dalla circolare del Giornale Militare. Reca tuttavia, già  il fregio
ricamato in seta grigioverde istituito per gli ufficiali nel 1915.

Fonte dello scritto: Notiziario del ANA gruppo milano centro, articolo scritto dal socio Andrea Bianchi.

chissa se agli stagisti gli raccontano tutto ciò :--""
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Paolino
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Re: buon compleanno

Articolo davvero interessante. L'originale è corredato di foto?
Grazie per averlo riportato

Paolo
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cavalli
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Re: buon compleanno

Paolino ha scritto:Articolo davvero interessante. L'originale è corredato di foto?
Grazie per averlo riportato

Paolo
si c'è qualche foto
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Andrea69
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Re: buon compleanno

MI scuso di aver "insozzato" con le mie foto, il lavoro altrui. Le tolgo.
Ultima modifica di Andrea69 il sab feb 19, 2011 3:40 pm, modificato 2 volte in totale.
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Re: buon compleanno

Ringrazio per la citazione e per aver inserito il mio scritto anche su questo sito. Tuttavia devo dire che le foto dei Cappelli Alpini inserite non corrispondono a quelle messe sul mio articolo; quelli che ho visto qui sono cappelli moderni e nulla hanno a che vedere con il modello originale 1910.
Questa precisazione è doverosa onde non confondere l'appassionato/collezionista.
Grazie!

Mai daur!
Andrea Bianchi

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