FedeTere
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Re: La mia erba è sul Don

jolly46 ha scritto:
230 A ha scritto:
... eravamo entrambi a Redipuglia quel 24 maggio del 1965, abbiamo avuto entrambi 100.000 gavette come lettura alle medie ...

... non saremo mica il clone uno dell'altro ? :shock: :shock:
........... la scienza genera mostri? :mrgreen: :mrgreen:

Tornando seri.
Se FedeTere ma anche altri sono interessati potremmo aprire anche una discussione sulle "buone letture" che esistono e che comunque sono un patrimonio inestimabile ed insostituibile che nessuna invenzione mediatica odierna potrà  mai sostituire.
La forza evocativa ed emozionale di una buona pagina di un libro è eterna.

Ovviamente non mi limiterei alle sole pagine "alpine" ma allargherei l'osservazione a 360°.
io sarei daccordissimo! ^^ bell'idea!

FedeTere
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axtolf
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Re: La mia erba è sul Don

potremmo aprire anche una discussione sulle "buone letture"
A te l'onore :-k
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Luigi
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Re: La mia erba è sul Don

Per quanto riguarda la toponomastica delle località  sovietiche, segnalo questo interessante documento:
http://www.plini-alpini.net/itarus.pdf
Come si può vedere, per alcune ci sono anche 4 o 5 grafie differenti.
Mandi.
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"Gli Alpini arrivano a piedi là dove giunge soltanto la fede alata"
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jacques
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Re: La mia erba è sul Don

ho pensato facesse piacere questa mia piccola riflessiioone sul libro di Bedeschi peraltro uno dei miei preferiti un saluto. Spero di non sembrare uno sbruffone per le parole in greco ma è una riflessione carina.

“Centomila gavette di ghiaccio” è un capolavoro di Giulio Bedeschi. Un capolavoro antico per tanti motivi: gli uomini protagonisti, le vicende e i valori ormai trascorsi ma non ancora dimenticati.
Ma è, come Sallustio e Tucidide, capace di farci capire gli avvenimenti odierni alla luce del passato. Lo “ktema eis aiei” si vede già  dalla dedica a “Tutti quanti non vogliono essere oggi i futuri Caduti” inoltre egli estende l'esperienza dei suoi personaggi all'intera collettività  privando i suoi commilitoni dei nomi reali per dare risalto maggiore all'azione che al fautore del gesto. « L'autore affida al lettore la storia di un esiguo reparto; omettendo gli autentici nomi ha voluto deliberatamente trascendere le singole persone, perché questa è stata davvero la storia di tutti gli alpini, e perché in essa tutte le madri possano intravedere i volti dei loro figli e riviverne la storia di dolore e di morte [...] »

La partenza del reparto da Corinto, dove è salutato dalla popolazione occupata in maniera festante, assomiglia molto alla partenza dei greci per Siracusa. La terribile ritirata del 1943 , fatta anche di debolezze umane si concilia con la fuga ateniese. Infine come poter dimenticare l'87 verso “ritornarono in patria pochi da molti che erano”.*
Probabilmente però fino a qui si testimonia solamente della straordinaria verità  della concezione di “storia magistra vitae” messa in discussione durante l'Ottocento, in Germania. La fine però, sia dell'uno che dell'altro scritto rivela, l'immutabilità  della natura umana, increduli nella polìs “Quando la notizia fu portata ad Atene per molto tempo essi non prestavano fede nemmeno ai soldati” increduli e sprezzanti al Brennero
Scudrera disse al ferroviere “ Aprite i finestrini ma non sapete che siamo gli alpini che ritornano dalla Russia?”
Ferroviere “ma che alpini e alpini, non vi vedete che fate schifo?”
Affida il suo pensiero che non può che risuonare come un'accusa a quanti tacquero sulle deficienze organizzative dell'esercito italiano in Russia e furono così causa di tante, immani sofferenze, a questa frase: Il male non è soltanto di chi lo fa: è anche di chi,potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce. (Tucidide)
Egli pone la sentenza tra la dedica e la premessa in cui giustifica la sua volontà  di non riportare i nomi reali.

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